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Odessa star -mi è piaciuto?

Questa è forse la domanda più importante:mi è piaciuto questo libro? La mia prima risposta è stata “No, assolutamente no”.

Il libro è scritto molto bene, lo si legge in un attimo, anzi bisogna darsi unaregola per non leggerlo tutto d’un fiato. La storia di Fred, eterno adolescente di 47 anni,  è sconvolgente: Incontra il suo vecchio compagno di scuola  MAx e immediatamente stabilisce con lui un rapporto di dipendenza. Fred dice cosa gli ddà fastidio e Max elimina il problema, alla radice.

Fred è la somma di tanti elementi diversi, tutti sconvolgenti: L’autore ci fa entrare in una spirale di violenza incredibile ed il lettore inizia a guardarsi intorno ed a chiedersi se può succdere anche a lui.

Forse mi è piaciuto,  sicuramente mi ha colpito e sconvolto. La lettura è forse necessaria per aprire gli occhi sul degrado possibile o probabile, al di

là della apparenza. Come non ricordarsi Cecità di Saramago?

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Il teschio e l’usignolo , di Michael Irwin

Che dire di questo libro? Difficile esprimere un parere, amarlo. Direi che il sentimento giusto è l’odio. Per me è stato come un pugno in pancia: doloroso, dolorosissimo, non finisce, anzi si espande ed il giorno dopo il dolore è ancora lì, in modo diverso, ma c’è.

Michael Irwin è grandissimo: ha saputo costruire un romanzo intenso, scritto molto bene (ma di questo non dubito mai: in questo Book Club si leggono solo libri scritti veramente molto bene) che coinvolge nella scoperta dell’abiezione che può esistere dentro l’essere umano. Penso sia la prima volta in tutta la mia vita che uso questo termine”abiezione”, ma non ne ho altro per definire la caduta della natura umana nel giovane Mr. Fenwich, Dick per gli amici (il nome già la dice lunga sul personaggio) che distrugge la propria vita e quella di tutti quelli che lo circondano per soldi, solo per soldi e non si redime, nemmeno alla fine del romanzo.

Le fasi della caduta sono interessanti, analizzate piano piano dall’autore: all’inizio il protagonista in fondo è solo un ragazzo che si vuole divertire e non vuole impegnarsi nella vita, ma poi piano piano la valanga si fa molto voluminosa e cade sempre più velocemente.

Il romanzo ci apre strade di riflessione interessanti, ma amarlo…difficile. Interessante, ben scritto, personaggi delineati molto bene, ma non l’ho amto.

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Neri Pozza Book Club – Qualche mese dopo

Sono passati 6 mesi dall’inizio dell’avventura e che mesi!

I primi incontri erano pieni di domande: ma chi saranno? Ma come sarà? Cosa potrò mai dire io che non sono un’esperta? Che analisi del libro faranno gli altri?

Ma il gruppo ha permesso, permette, tutto: non importa chi tu sia, quanto sia esperto di libri (o inesperto), l’importante è che tu legga e che ti senta libero di esprimere la tua opinione. E quante volte succede che, mentre ascolti i commenti degli altri, desideri improvvisamente rileggere il libro (che magari hai già letto una o anche due volte, perché, in effetti, quella sfumatura, angolo di lettura, tu non l’hai notato, visto….

E c’è chi ti sorprende sempre: è andato a vedere oltre il libro, ha trovato commenti, filmati, un collegamento a cui tu non avresti mai pensato.

Oppure c’è chi ti dice: ma se ti piace questo, prova a leggere anche quest’altro, oppure quest’altro ancora….

ed il momento dell’incontro non è l’unico: orami gli scambi sono frequenti, a momenti convulsivi…ognuno vuole dire, comunicare…

E che dire delle opportunità: l’ultimo esempio è l’incontro con Sarah. Tutti siamo lì, ognuno di noi ha letto il libro, l’ha assaporato, fatto suo, se ne è fatta un’opinione precisa, riflessa nelle domande, e lei è lì, proprio davanti a noi, vicinissima. Un’occasione bellissima…le domande, le risposte, la firma del libro, l’entusiasmo trasmesso, la voglia di leggere nuovi libri dell’autrice.

Non so se sono riuscita ad esprimere cosa sia il BookClub per me, ma è questo e molto altro: un’avventura bellissima!

 

 

 

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Lieto Fine

Eccoci qui, finalmente al temine delle vicende narrate ne “I Melrose”. Il libro si apre con il funerale di Eleonor, la madre di Patrick. At last se ne è andata, ha lasciato il suo corpo qui e non c’è più, non incarna più i sentimenti contrastanti del figlio, che finalmente deve crescere e separarsi da lei e dalla fanciullezza.

La grandiosità di St. Aubyn si vede tutta in questo libro: tutta la vicenda si svolge nel giro di pochissime ore, un tempo estremamente limitato che tuttavia si dilata e permette una profonda conoscenza dei personaggi del libro (non solo Patrick, ma anche il vecchio “amico” di famiglia Nicholas Pratt, Annette, Eleonor stessa e tanti altri), descritti magistralmente dall’autore utilizzando, quale escamotage tecnico, le riflessioni dello stesso protagonista.

Il libro si legge bene sia come conclusione della vicenda narrata nei quattro libri precedenti, sia a sé stante. Il linguaggio è sempre molto preciso, puntuale, critico e la lettura è molto piacevole.

 

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La Porta

Se intendiamo la lettura di romanzi, saggi, poesie come la possibilità di esplorare mondi sconosciuti e di “conoscere” un Paese, un’epoca  ed una civiltà pur rimanendo seduti nel salotto di casa, allora questo è un romanzo da leggere.

Complesso, affascinante, racconta sicuramente di un’epoca (l’inizio del 1900) e di una cultura molto lontane dalla nostra: la vicenda è ambientata nel Giappone dell’inizio del secolo scorso, nel quale l’esposizione alla civiltà occidentale sta cambiando la società, ma in modo superficiale e non ancora al punto da aver stravolto i valori tradizionali.

Cosa cerca Sosuke, il protagonista, se non l’armonia? Cosa lo spinge a sfuggire al possibile (o probabile) incontro con l’ex amico Yasui? Yasui avrebbe completamente distrutto quell’armonia che Sosuke e la moglie Oyone avevano creato fra di loro, avrebbe nuovamente introdotto un elemento dirompente, che li avrebbe costretti a ricominciare da capo. Ecco la ragione della “fuga” al tempio zen e della ricerca del protagonista.

Natsume Soseki ci guida gentilmente nell’animo di Sosuke e, se ci si lascia trasportare, si finisce avvolti in una ragnatela sottilissima, attenti alle minime variazioni di tono e di umore dei protagonisti.

Il romanzo è sicuramente complesso, ma mi ha lasciato la voglia di leggere altri libri scritti da Natsume Soseki, di conoscere di più questo mondo misterioso e lontano: consiglio sicuramente la lettura lenta di questo libro, che mi ha arricchito molto.

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Tre Camerati

Tre camerati, di Erich Maria Remarque, racconta la vita “normale” di tre camerati, Otto , Gottfried e Robert, qualche anno dopo la fine della prima Guerra Mondiale in Germania. In effetti la vita che conducono si può difficilmente definire “normale”: nessun lavoro stabile, nessun amore stabile, nessuna sicurezza per l’avvenire. Una vita vissuta alla giornata, in cerca di sensazioni forti – alcool, donne, motori -che li facciano sentire vivi e che schiaccino le sensazioni provate alcuni anni prima in guerra, ancora molto forti dentro di loro.

Fino a che Robby non incontra la donna della sua vita, Pat, ed allora tutto si ribalta: nasce un sentimento delicato, in cui l’attenzione e la cura dell’altro prevalgono su ogni considerazione personale: finalmente la vita sembra sorridere ed il futuro è lì, si può costruirlo!

Ma la sorte, il fato è ancora alle porte e li mette all prova nuovamente: Pat sta scivolando dalla vita alla morte, Gottfried viene ucciso…cosa riserva adesso il futuro ai due amici? saranno in grado di superare anche queste prove?

Remarque conclude così, senza lasciar intravedere quale sarà la strada, sta al lettore immaginare cosa potrà succedere, facilitato dal conoscere la Storia della Germania negli anni successivi.

Il romanzo appassiona molto: il ritmo prende, trascina nella storia, ogni personaggio è un conoscente che ci accompagna per un tratto di strada. Ogni personaggio viene esplorato in molteplici modi, sia con la descrizione fisica sia raccontando la sua storia, le sue azioni e le sue emozioni, come solo un grande scrittore sa fare.

Un libro che ci offre uno scorcio sulla Germania del primo dopoguerra (o sull’Italia di oggi) e di cui consiglio la lettura.

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Il Mondo di Belle

Un libro godibilissimo, scorrevole, interessante per la storia raccontata e l’ambientazione storica: una “schiava” bianca, portata a vivere nella cucina di una  piantagione nel Sud degli Stati Uniti nei primi anni del 1800. Lavinia, la co- protagonista, si ritrova in queste condizioni dopo la morte dei genitori durante la traversata dall’Irlanda al Nuovo Mondo, e salda il debito contratto lavorando per il padrone bianco, affidata alle cura di Belle.

Il romanzo si snoda attraverso il racconto delle due co-protagoniste, Lavinia e Belle, con le loro prospettive differenti. Interessantissimo il rapporto che si sviluppa fra Lavinia e la padrona bianca, Miss Martha, che vive in un mondo tutto suo, aiutata in questo dalle gocce di laudano: la protagonista trova nella figura della padrona, la creatura da amare al di là ed al di sopra di ogni ricompensa. Le ricorda forse la madre malata (e morta) durante la traversata, a cui lei non ha saputo dare conforto? La sua tenacia nel prendersi cura di questa donna, anche quando quest’ultima viene confinata in un ospedale psichiatrico, anche quando sembra che non ci sia più nulla da fare, esprime la profondità del sentimento di compassione che pervade Lavinia in tutto il romanzo.

Di grande effetto l’immagine iniziale: l’impiccagione di ???? non si sa…solo verso la fine del libro si scoprirà cosa è accaduto veramente.

La piantagione è una piccola società a sè stante: la solitudine, la partecipazione obbligata alla vita degli altri, rende questo libro uno spaccato della società dell’epoca. E che dire di Meg, della sua indipendenza e dell’amicizia con Lavinia? sicuramente uno spaccato dei primi cambiamenti ….

Il libro si legge d’un fiato e la nostra autrice gestisce con maestria la stioria e la sua narrazione. Buona lettura!

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Dal ventre della balena, di Michael Crummey

In questo bellissimo romanzo, Michael Crummey dipinge un affresco corale della vita a Terranova nel 19esimo secolo, raccontandoci la vita delle comunità inglese ed irlandese in continua lotta fra di loro, ma impossibilitate a staccarsi l’una dall’altra perchè ognuna ha bisogno dell’altra per sopravvivere. Se gli irlandesi non pescassero il pesce nelle gelide acque dell’oceano, potrebbero gli inglesi commerciarlo?

I personaggi sono moltissimi, ben delineati nelle loro caratteristiche psicologiche, poco o nulla nelle loro caratteristiche fisiche (Mary Triphena, una delle protagoniste,  ha lunghi capellli neri, è alta, bella…ma…che altro?), come se fossero degli archetipi senza tempo e realtà fisica. Eccezione a questo sono gli odori, forti, penetranti: quello di Giudeo Devine, il Grande Bianco nato dal ventre della balena proprio all’inizio del romanzo,  o dei cacciatori di foche di ritorno dopo la stagione (come non immaginarsi questo odore: i pescatori non si cambiano mai durante i 3 mesi della stagione, rimangono sempre con gli stessi vestiti con cui dormono, mangiano, lavorano).

L’ambiente fisico è eccezionale: nel romanzo irrompe la Natura dura di Terranova con la sua bellezza aspra e selvaggia, che chiede il suo contributo a chiunque voglia vivere lì – dolori, fame, freddo, pazzia.

Il continuo riferimento alla Bibbia potrebbe far presupporre una grande fede: in realtà la fede –cattolica, anglicana, metodista– è solo un modo di caratterizzare le persone, di aggregarle (gli uomini Devine diventano metodisti perchè altrimenti alla domenica la famiglia è separata) e di separarle (le divisioni più forti fra le due comunità nascono dopo l’arrivo del pastore anglicano).

La storia narrata è un vero arcano: come non ricollegarla all’episodio biblico di Giona inghiottito dalla balena, al mito della rinascita dopo la morte? Chi è veramente Giudeo: è il suo stesso pronipote Abel? Morto, ritornato nel grembo della madre e poi ritornato a vita nuova? Qual’è il tempo? O meglio cos’è il tempo, un circolo di avvenimenti continui che ritornano su sè stessi, oppure una spirale, che progredisce verso qualcosa di indefinito? Nel racconto sembra esservi un progresso materiale, un miglioramento delle condizioni di vita, ma vediamo chiaramente che le problematiche umane sono le stesse, non evolvono. Mary Triphena sembra la rincarnazione della Vedova Devina; e chi è Esther? E’ lei la fanciulla della canzone?

Nulla è lasciato al caso: ogni singolo elemento del racconto ha molteplici risvolti, si specchia in un altro e le vicende, se non si risolvono, si ripresentano uguali a sè stesse (la signora Gallery, il fantasma del marito morto e Padre Phelan).

La non accettazione del diverso ritorna continuamente: diversi per il colore della pelle, per la fede, per il ruolo sociale o per le abitudini sessuali. Non solo Giudeo il Grande Bianco, viene imprigionato perchè diverso, ma anche Ralph il Nero vive lontano, tollerato solo perchè separato dalla comunità.

Come non rimanere affascinati da tutto questo? La tentazione di leggere il romanzo tutto d’un fiato per conoscere la vicenda narrata e poi ritornarci, lentamente, per gustare ogni singola parola, ogni fatto, ogni collegamento: sicuramente un’avventura affascinanante, che consiglio vivamente.

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