«Cosa sono esattamente queste cose che componete, maestro?» «Esercizi». «D’accordo, ma la musica dov’è?» «La musica è dentro di voi, maestà».
Nell’estate del 1720 un giovane compositore parte dall’Italia per arrivare a Lisbona, alla corte di re João v. Comincia così l’avventura umana e musicale di Domenico Scarlatti, figlio del grande Alessandro. Uomo mite e tormentato, per nulla sicuro del suo talento, capace di stare un passo indietro a tutto, anche a sè stesso.
Il suo compito a corte è insegnare musica alla figlia del re, Maria Bárbara di Braganza, che andrà poi in sposa a Fernando di Borbone diventando regina di Spagna. Il rapporto tra Domenico Scarlatti e questa donna durerà per tutta la vita. E sarà la vera linfa, il vero snodo del talento del compositore napoletano. Le sue celebri Sonate, eseguite dai più grandi pianisti del Novecento, nascono come esercizi per le mani di Maria Bárbara. Il romanzo narra di questo sodalizio, di questo scambio tra maestro e allieva che si concluderà solo con la morte di Domenico Scarlatti. Un sodalizio in nome della musica che è anche il racconto di un’epoca di guerre, rivalità tra famiglie reali europee, complotti, poteri contrapposti.
Come fosse un affresco del Tiepolo, Alberto Riva fa entrare il lettore in una storia intensa e nitidissima. E ci regala, attraverso una scrittura misurata e attenta, una trama figurativa che alterna realismo e suggestioni d’oltremare. Lineare, eppure ricco di dettagli, Il maestro e l’infanta è un libro raro nella letteratura italiana di questi anni. Un omaggio alla musica e alla sua forza segreta. Una rappresentazione dei sentimenti attraverso intermittenze e non detti, sfumature, accelerazioni, pause. Un’epoca raccontata in un contrappunto inedito che ne svela furori e insensatezze, e ne celebra soprattutto il carattere sorprendentemente malinconico.
Alberto Riva è nato nel 1970. Ha pubblicato Sete (Mondadori, 2011) e Tristezza per favore vai via (Il Saggiatore, 2014). Con il trombettista jazz Enrico Rava Note Necessarie (minimum fax, 2004) e, con il pianista Stefano Bollani, Parliamo di musica (Mondadori, 2013) e Il monello, il guru, l’alchimista e altre storie di musicisti (Mondadori, 2015). Scrive da molti anni sul Venerdì di Repubblica, dove si occupa di letteratura e musica. Vive a Milano.
Il maestro e l’infanta presenta, con una narrazione asciutta e precisa, una magnifica ricostruzione dell’ambiente delle corti sia portoghese che spagnola in cui si inserisce un’artista importante per la musica barocca e non solo come Domenico Scarlatti, uomo complesso e talentuoso ma sconosciuto se non per le sue opere.
La sua vicenda, ricostruita da Alberto Riva, ci appassiona e meraviglia, tanto da sembrare credibile e vera, più che solo verosimile visto che è ricostruita in gran parte con l’immaginario, inserita in un contesto di personaggi vivi e reali, rappresentati con maestria ed empatia; bellissima la figura di Maria Bàrbara, sorprendente è il ruolo assegnato al famoso Farinelli, come vivide sono le descrizioni dei gitani così importanti per la musica del “Buon maestro” che, con grande intuizione dell’autore, risulta l’unico personaggio un po’ sfuocato, misterioso, descritto e raccontato spesso per interposta persona, presente soprattutto con la sua musica così innovativa con le sue dissonanze e contaminazioni.
Ottimo libro, che non risente del peccato originale del reportage che ha la necessità di catturare l’attenzione e mantenerla viva, ma che ci trasporta completamente nel mondo descritto e ci fa vivere quasi in prima persona le vicende dei vari personaggi fino all’ultima riga, e anche oltre.
Alberto Riva ci fa entrare in questa storia intensa e melodiosa, facendoci apparire un affresco nitido e ricco di sfumature di quell’epoca, romanzandone gli eventi storici.
Adoperando lo stile del romanzo storico, che contrariamente allo stile biografico, spazia tra la ricostruzione storica e l’invenzione romanzesca, ci fa attraversare le nazioni più in fermento in quegli anni: l’Italia, il Portogallo e la Spagna.
Quasi come guardando dentro un diaframma di una macchina fotografica, sottopone al nostro sguardo, con un tocco unico, le teste “coronate” in continuo movimento, i vari ministri, le spie, gli ambasciatori, le dame di compagnia, gli artisti, svelandoci retroscena incandescenti e intrighi a volte insensati, ponendo sempre una particolare attenzione anche su curiosità quasi insignificanti.
Ci descrive, in primo piano ed in modo lieve e profondo, il rapporto tra due solitudini, che li accompagnerà per gran parte della loro vita.
Riva ritrae minuziosamente le loro fisicità ed i loro atteggiamenti a tal punto che pare vederli. Schivo e modesto lui, il compositore e maestro Domenico Scarlatti, dolce e non bella lei, l’Infanta di Portogallo Maria Barbara, camminano affiancati in questa avventura, creando un binomio duraturo, che, intrecciando la musica alla loro semplice complessità di vita, sfocia in un eccezionale sodalizio musicale.
Insieme, si avvarranno della musica per evadere dal proprio mondo, ricercando la sostanza della loro vita attraverso essa.
Durante il soggiorno in Andalusia, avviene l’incontro dell’artista con un mondo diverso dal suo. Entra così in contatto con la musica araba, ebrea, gitana. Subisce il fascino ammaliatore, un po’ triste e inquieto della musica, degli strumenti e della tradizione gitana, che lo ispirerà positivamente nella creatività delle sue successive sonate.
Maria Barbara, facendole caparbiamente trascrivere e stampare, come un grande mecenate, farà arrivare sino a noi le sue sonate, consegnandole a Farinelli, un altro grande italiano di quegli anni densi di avvenimenti.
Attraverso la musica, Domenico e Maria Barbara, si liberano dei fantasmi del passato, segnando un momento cruciale di rinascita, frutto di una amata e agognata vita libera.
La lettura di questo libro ha annullato in me le distanze temporali. Mi sono ritrovata improvvisamente in un’altra epoca, dentro persone, concetti, modus vivendi che non esistono più.
Un plauso all’Autore, che con la sua scrittura attenta e ricca di dettagli, crea un omaggio alla musica e alle sue profondità misteriose. Riva, traducendo in parole la musica, tocca le vibrazioni del cuore.
Il maestro e l’infanta di Alberto Riva è qualcosa di diverso da un romanzo storico anche se ne ha l’impianto. Ne evita infatti ogni pesantezza scegliendo di presentarci i protagonisti delle case regnanti europee con pochi tratti enigmatici.Accompagna il musicista napoletano Domenico Scarlatti ,figlio del più noto Alessandro dalla giovinezza alla morte avvenuta nel 1757 a Madrid, ma non si può dire che sia una biografia. Sceglie per lo più di guardare il musicista da una certa distanza. Conosciamo i fatti della sua vita ma lo vediamo come dal buco della serratura mentre si infila nelle taverne tra passioni e ozi .Alla fine ci troviamo tra le mani la storia dell’ affinità elettive tra l’infanta del Portogallo Maria Barbara di Braganza e il suo buon maestro fatta di una rara intesa umana e musicale.Il loro è un rapporto salvifico dove i ruoli si invertono nel tempo.Sarà Scarlatti, uomo schivo e poco incline ad assorbire il main stream di corte, a riconoscere il talento musicale di Maria Barbara e a nutrirlo con i suoi esercizi. Sarà lei, divenuta regina di Spagna, a salvare la produzione di Domenico Scarlatti dall’oblio pubblicandola e stimolandolo a scriverne di nuova.Nel sottofondo onnipresente c’è la musica, sorta di presenza spirituale verso la quale tendere, anelito alla perfezione ,al piacere, all’insolito e al non esperito. Incantevoli le pagine che portano Scarlatti alla scoperta della musica gitana e del canto flamenco.
Una bella storia che avvolge il lettore sin dalle prime pagine. Riva è stato molto bravo a costruire, sulla base di pochi dati bibliografici, un romanzo che attinge – per forza di cose – molto alla fantasia, ma che risulta assolutamente credibile. Davvero curioso scoprire che le celebri sonate di Domenico Scarlatti non sarebbero mai arrivate a noi senza l’intervento di Maria Bárbara di Braganza, l’infanta del Portogallo, sua allieva e prima grande interprete. Questo libro racconta con estrema delicatezza, l’amicizia, l’incontro di due anime sensibili e solitarie, che si trovano, si riconoscono e si capiscono l’un l’altra grazie alla magia della musica. E che musica! Libro da consigliare e regalare.
Intenso, lucido, poetico. Questo romanzo – forse storico o biografico o artistico, ma poco importa – avvolge e conquista con la storia bella dell’affinità elettiva tra due anime che spartiscono, nel riserbo e rispetto reciproco, una passione, o meglio, una devozione assoluta e totalizzante per la musica, vera religione di bellezza, armonia, perfezione. Un vincolo spirituale più forte per entrambi di quello tra amanti o familiari.
Lo sguardo trasparente del narratore dipinge frammenti di vita e di storia con la lente nitida di un Canaletto (siamo pur sempre nel “700 e nell’età dei lumi). L’intimità dei protagonisti è lasciata volutamente nell’ombra, nell’indecifrabile sorriso di Maria Barbara, nell’elusività triste e composta del maestro. Eppure riusciamo a indovinarla, a sentirla e ad affezionarcisi.
Riserbo quasi patologico, una certa malinconia, un rapporto irrisolto con il padre, totalmente preso e devoto solo alla sua arte, alla musica che “rivela l’inesprimibile”. Questo il maestro Domenico Scarlatti.
E l’infanta Maria Barbara? Sensibilità, grazia e gentilezza, a dispetto di una fisicità non propriamente attraente. Insieme, una forza interiore e una pragmaticità che le consentono di camminare lieve e determinata lungo una vita, tutt’altro che grandiosa, di infanta reale e, poi, regina. Ma anche per lei una passione unica, suprema, appagante, con cui dare alla propria vita il senso più intimo e profondo.
Bastano davvero poche pagine per affezionarsi ai personaggi di questo romanzo gradevolissimo, soprattutto all’infanta Maria Barbara e alle sue poetiche stravaganze che, insieme a qualche dettaglio fisico inconsueto, la rendono curiosamente non-conforme alle aspettative legate al suo ruolo: la principessa, poi regina, sembra volare (o tentare di farlo) aggrappata al suo clavicembalo come a una mongolfiera, come all’unico mezzo in grado di condurla oltre le mura che la custodiscono, la proteggono, la imprigionano. Quello con Domenico Scarlatti si rivelerà un incontro determinante per entrambi: colpisce tra l’altro, specie in un momento votato all’apparenza e alla notorietà come il nostro, la figura di un musicista che rifugge la fama e gli applausi del pubblico, malvestito e con la parrucca trasandata, disinteressato persino a tramandare la propria opera. Il romanzo è scritto in una lingua leggera, composta e precisa, capace di evocare con facilità paesaggi e immagini così come i caratteri dei personaggi, a cui si accosta con comprensione ed empatia unite ad una costante vena di umorismo; anche le guerre e le feroci lotte dinastiche dell’epoca sono narrate come dall’alto, con uno sguardo lieve che sa ricondurle alla fragilità e all’umana limitatezza dei loro regali protagonisti.
Il titolo, denotativo ma con due sostantivi potenti, e l’esergo composito introducono alla storia di un sodalizio raccontata al presente da un narratore talmente onnisciente da poter fare predizioni nel corso del racconto. La caratterizzazione del personaggio Scarlatti è immediata, come se si guardasse un ritratto o meglio come se si facesse un ritratto – a pennellate -: vestiario, atteggiamenti fisici e psicologici. E lungo il racconto emerge un uomo diverso da quel che ci si aspetterebbe, un artista geniale e fuori dagli schemi: la serenata per la regina a Lisbona è pronta e la corte fremente nell’attesa. L’elenco dei presenti introduce un tono scanzonato (Nel salone c’è odore di incenso, ma anche un po’ di cicoria saltata nell’aglio/ L’orchestra è diseguale, ha musici di livello e altri che farebbero danni persino nella banda di Santa Maria Capua Vetere/Gli sguardi ovviamente si cibano della famiglia reale, vivisezionata nei dettagli, ma sono puntati anche sulla giacca del maestro, sui suoi stivaletti di cuoio dozzinale, il colletto liso, chiuso da un bottone smangiato. La parrucca non è del tutto candida) che sarà la cifra costante della storia intervallata da annotazioni poetiche e a tratti malinconiche.
Delicato e ironico allo stesso tempo in una lingua ricca, densa, piena di dettagli, similitudini e sorprese (memorabili i nomi del pappagallo e del gabbiano di Vivaldi), sensuale di colori, odori e forme, principalmente naturali (la luce di Lisbona, il sole sul Tago, i fiori, vegetazione lussureggiante/ La luce sul mare ha il bagliore della maiolica/Il cielo è basso sul mare, e ha il colore delle pecore vecchie/il cielo assomiglia al peltro non lucidato).Lo zoom si sposta e viene inquadrata la bambina Maria Barbara: all’applauso scrosciante del primo concerto il maestro non c’è, lo intravede solo lei un po’ discosto e non sa se sorride o è triste. Da qui inizia la loro lunga connessione. Il rapporto fra il maestro e l’infanta/regina: due persone schive, che si riconoscono e che coltivano un loro percorso, lei molto attiva nell’estrarre da quell’orso sgusciante il meglio che può dare, la sua musica visionaria che lei s’incarica di consegnare alla storia pubblicandone gli esercizi. Nome per cose semplici, senza importanza, scritti solo per lei. Esercizi risonanti di sensazioni, di silenzi e di ritmi indiavolati che trova fra i gitani e che saranno introiettati da lui e reinventati. Le accomuna anche il grande rispetto che nutrono l’uno per l’altro, fatto di poche parole, che può diventare silenzioso aiuto nella solitudine che li accompagna.
Sullo sfondo le dinastie d’Europa, le trame politiche e di potere, i matrimoni, le star arrivate a corte, le conquiste per la divisione del mondo e le piccole manovre nelle corti spagnole e portoghesi ad opera soprattutto delle potenti e volitive regine. La lettura di questa raffinata opera di fantasia costruita da Alberto Riva su fatti storici mi ha dato molto piacere perché riesce a tramutare la musica e la pittura in letteratura.
Alberto Riva, partendo dalle poche notizie storiche pervenute sulla vita del compositore Domenico Scarlatti, riesce nell’impresa di colmare i vuoti, raccontando una storia che diverte, commuove e appassiona.
Romanzo storico raffinato e godibile, “Il maestro e l’infanta” non ci presenta solo personaggi storici verosimili, ma riesce anche a far rivivere il mondo delle corti europee del Settecento, a viaggiare per la penisola iberica visitando le città più famose, incontrando popoli e culture.
Qual è il vero protagonista del romanzo? Scarlatti, l’infanta Maria Barbara o la musica?
Se la musica è il filo conduttore del romanzo, allora Maria Barbara è Arianna e Scarlatti è Teseo.
Il lettore accompagna il compositore nel percorso che dovrà intraprendere, un percorso di accettazione di ciò che ha nel sangue, ma che farà fatica a capire. Qualche cosa che lo farà cambiare interiormente e cambierà la musica che compone.
Alberto Riva scrive un romanzo interessante e ambizioso, legato alla ricerca del sé e a quel concetto di artista come interprete dell’inquietudine, particolarmente caro a Federico Garcia Lorca, che ha radici in culture antiche e che è oggetto di studio nella moderna psicanalisi.
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