Baku, 1905. Nascere in una famiglia scandalosamente ricca – il capostipite, Assadullah, nato contadino, morì milionario grazie al petrolio zampillato dal suo campo pieno di sassi – ma allo stesso tempo altrettanto stravagante e popolata da loschi individui, porta con sé sicuri privilegi e indubbi grattacapi. Ultima di quattro sorelle, Banine viene alla luce in un giorno d’inverno movimentato da scioperi, pogrom e altre manifestazioni del genio umano. Nonostante questo, la sua infanzia trascorre felice, allietata dalle torte rigonfie di crema di Fräulein Anna, balia tedesca, e dalle perenni recriminazioni in azero della nonna paterna, una creatura stupefacente, un gigante sbucato da una fiaba di Perrault. Ogni anno la famiglia trascorre metà dell’anno in campagna. La casa è grande, eppure a malapena sufficiente a ospitare l’orda che la invade in primavera: la temibile nonna con le sue innumerevoli serve; la figlia maggiore con il marito, la minore senza marito; i loro cinque figli, terrore di Fräulein Anna, bugiardi, ladri, spioni e quant’altro; infine, il figlio più piccolo della nonna, l’infantile e allegro zio Ibrahim, ancora celibe. Là dove i doveri diminuiscono, la libertà cresce, il tempo favorisce i giochi – le zie sono tutte avide giocatrici di poker, passione che coltivano assieme a quella per la maldicenza – e, soprattutto, le liti. Nella famiglia di Banine i litigi hanno infatti un ruolo fondamentale, e per due ragioni: una è da attribuire al temperamento violento e naturalmente predisposto alla lite di tutti i suoi membri; l’altra è l’eredità. La famosa, eterna, inafferrabile eredità, quella che bisogna dividere dopo la morte del capostipite. Questa vita di splendori e baruffe è tuttavia destinata a subire un drastico mutamento. La Rivoluzione d’Ottobre porterà il caos nel Caucaso, una dittatura militare, dominata dagli armeni, prenderà il potere a Baku e darà la caccia ai ricchi azeri, costringendo Banine e la sua famiglia a una precipitosa fuga… Memoir animato da un irresistibile humour, I miei giorni nel Caucaso ritrae magnificamente la vita e il mondo che rendevano un tempo attraenti le rive del Caspio.
«Il delizioso ricordo di una vita movimentata».
Financial Times
«Il comico resoconto di una turbolenta giovinezza trascorsa sulle rive del Caspio».
Spectator
Banine, pseudonimo di Umm-El-Banine Assadoulaeff, nacque a Baku nel 1905. Dopo la Rivoluzione russa e la successiva caduta della Repubblica Democratica dell’Azerbaigian, Banine fu costretta a fuggire dalla sua terra natale, prima a Istanbul e poi a Parigi. A Parigi conobbe e frequentò Nicos Kazantzakis, André Malraux, Ivan Bunin e Teffi. I miei giorni nel Caucaso è stato pubblicato per la prima volta nel 1954, ottenendo un grande successo di pubblico e critica.
I miei giorni nel Caucaso,
Ho iniziato a leggere I miei giorni nel Caucaso con scarso entusiasmo, pensando di trovarmi di fronte a una biografia femminile convenzionale, noiosa e mondana nei momenti di benessere economico, tragica nel periodo della guerra. E invece… che bellissima sorpresa! Partendo da una storia personale e familiare già di per sé avvincente, Banine realizza un affresco familiare aggettante e divertente, tanto che alla fine del romanzo, quando lei lascia per sempre il Caucaso, mi sono resa conto di essere un po’ triste, perchè avrei voluto sapere che ne era stato di tutti i pittoreschi personaggi della sua famiglia. Unendo lo sguardo acerbo di una bambina (e poi di una ragazza) con la sagacia e l’umorismo di una donna forte, Banine ci ammalia senza mai annoiarci, facendoci sentire partecipi di un mondo che pure è così distante dal nostro temporalmente e culturalmente. Banine racconta di sé con schiettezza e onestà, con intelligenza e umorismo, istruendo e divertendo allo stesso tempo. Non so proprio cosa si potrebbe chiedere di più a una biografia… forse un seguito?
Fin dalle prime righe il racconto ha la capacità di trasportarti nell\’universo di questa famiglia azera con ironia e umorismo. E\’ un universo che vive le contraddiizioni e gli scontri di due diverse culture quella orientale e quella occidentale, vive il conflitto tra la tradizione mussulmana e quella cristiana, tra la rivoluzione comunista e il capitalismo, la protagonista muove i suoi primi anni su questo mondo contaminato che la condizionerà e rischierà di rimanerne soggiogata, ma quando finalmente sarà abbastanza adulta riuscirà a fuggire. Mi hanno colpito alcune pagine, perchè sotto la sferza di questo umorismo a volte amaro contengono delle vertà universali ad esempio quando parla dei legami famigliari.E\’ una lettura appassionante fino alla fine.
Questa autobiografia si è rivelata una bella sorpresa! La protagonista vive in un periodo di cambiamento storico in cui inizia la corsa verso il moderno, verso le speranze e le difficoltà che il vento delle novità porta con sé nel Caucaso, dimensione ancora fortemente legata al passato. Si percepisce prepotentemente la voglia di cambiamento delle nuove generazioni che qui si scontra con il tradizionalismo di quelle precedenti, che non comprendono il cambiamento e non vogliono farne parte. L’atmosfera orientale emerge anche grazie alla tradizione religiosa musulmana espressa nelle pagine del romanzo, che però non impedisce di trovare elementi in comune con la cultura occidentale.
Il trasporto che Banine prova per questo processo di “europeizzazione” è percepibile dal modo in cui la cultura, in particolar modo quella francese, l’affascina: gli autori, i vestiti, il comportamento, perfino Parigi stessa diventano emblemi di un amore che la protagonista porterà con sé per tutto il romanzo.
La cosa che più colpisce è il modo in cui Banine riesce ad essere disarmante e divertente durante la narrazione, non tralasciando comunque gli aspetti più veri e amari della sua cultura di provenienza e della durezza dell’epoca primo novecentesca. Da adolescente quale è, tenta di trovare un suo posto in un mondo che evolve velocemente per far spazio al moderno, al nuovo, al movimento e alle incertezze che queste novità portano con sé.
È impossibile leggere questo romanzo senza sentirsi un po’ partecipi di questa confusione causata dai tempi che cambiano e si percepisce anche come questi agiscono nel cuore di un’adolescente piena di speranze…
Sabrina Di Agresti – Torino (n. Roma)
Banine è stata la nipote del milionario azero Musa Nagiyev e figlia dell’uomo d’affari e politico azero Mirza Asadullayev. Nata nel 1905 a Baku, in Russia, adesso Azerbaijan, descrive, in questo libro autobiografico, una parte della giovane vita, fino a 17 anni circa, fino a quando cioè, si trasferì da Baku a Parigi.
Il suo libro successivo, del 1947, proseguirà nelle vicissitudini e negli altri incontri.
La vita della ragazza, di famiglia musulmana, rappresentata in modo icastico dalla nonna, si scontra con la religione ortodossa e monogama di parte della Russia. Significativo è l’episodio del bagno turco.
La scrittrice, nel un racconto omodiegetico, mette in luce aspetti della realtà che solo una donna molto determinata e coraggiosa avrebbe potuto implementare. Emergono in modo palese gli aspetti di una famiglia rozza, di tradimenti, patetica e sentimentale, che si è arricchita grazie ad una terra ricca di petrolio.
La ragazza è orfana di madre e con tre sorelle. Il padre si risposa con una donna giovane e viziata, Amina, incapace di provvedere alla nuova famiglia e darle affetto.
Solo la sorella maggiore, Leila, una ragazza di un’estrosità che a tratti sfiorava una leggera follia, aveva con la donna confidenza e complicità, tanto che entrambe rimarranno incinte nello stesso periodo.
Le ragazze del romanzo, per le fortissime restrizioni da parte dei genitori e della società retriva, assumono comportamenti adulteri e al limite del patetico.
Il periodo storico, politico e geografico si focalizza nel Caucaso dell’inizio del XX sec.
A livello diastratico non si sono riscontrate differenze di comportamento che l’autrice descrive come violento, arrogante, sia verbale che fisico.
Il padre cerca di ottenere la libertà, sacrificando la figlia. La figlia, dal canto suo, sa che dovrà pagare un prezzo, per essere nata e vissuta in quell’ambiente.
Tra la servitù spicca la governante Fraulein Anna una donna rigida e affezionata che si scontra anch’essa con una mentalità che non comprende. Quando più nessuno seguirà i suoi precetti morali, lascerà la casa, ormai anziana e senza vista.
Nel gruppo della numerosissima parentela ci sono anche la cugina Guldar e i cugini gemelli. I loro giochi sono stupri, seguono pratiche onanistiche. L’eredità deve rimanere in famiglia, come sostiene lo zio Soleiman, ed è per questo che la ragazzina, che ormai è in età da matrimonio, dovrà sposare uno dei gemelli.
Al limite dell’esilarante, la figura di Zia Reina, da cui la ragazza trae utili lezioni di rassegnazione.
Intanto la repubblica dell’ Azerbaijan è nascente, ma poco tempo dopo finisce sotto il dominio russo.
Si inserisce anche la figura di Gregorij, un marxista deportato in Siberia a cui il partito aveva concesso un periodo di vacanza. Questo luogo è l’abitazione della famiglia della protagonista a cui il regime sequestra quasi tutto il palazzo.
Il padre è arrestato in quanto ministro del nuovo regime anticapitalista e rimarrà parecchi mesi in carcere, fino all’intercessione del pretendente Jamil.
La maestra Maria, obbliga la ragazza a censire ed inventariare le ville ed i beni in essi contenuti e appartenenti alle famiglie dei plutocrati di Baku.
Divenuta insegnante di musica in una scuola musulmana, HANUM è affascinata dal bolscevico Andreij, ma la ragazza non riesce ad opporsi alla sua famiglia ed il suo destino che sarà quello di sposare Jamil. Ha 15 anni. L’uomo, dai capelli rossi, ne ha venti di più.
Lei prova idiosincrasia per l’uomo che anche per il vizio del gioco sarà lasciato, disperato, a Istanbul, mentre lei partirà per Parigi.
Mi sono piaciute molto anche le tradizionali massime, ricche di saggezza popolare.
un libro curioso che coniuga molto bene storia e romanzo. Con un linguaggio semplice ma avvincente trasmette il quadro di un’epoca, spezzoni di storia dell’Arzerbajian e consente di interpretare questo stato caucasico, oggi assai moderno, nello scenario dell’inizio del secolo ventesimo.
Gli spunti personali, le vicissitudini familiari e personali trascinano il lettore e consentono, anche per l’utilizzo di un linguaggio semplice, ma non banale, un giudizio più che positivo
Ci sono famiglie povere ma rispettabili, la sua era ricca e non rispettabile – comincia così un memoir che apre un mondo, quello dell’Azerbagian e quello di una grande famiglia “petrolifera” che attraversa il tempo dei cambiamenti epocali degli anni 20. Banine è stata una donna di grande fascino che racconta senza sentimentalismo e con ironia le vicende del suo tempo.
Resoconto romantico e piacevolmente comico di una gioventù ricordata a distanza, inquadrando un mondo rarefatto sulla soglia dell’estinzione. Oscillando fra tradizioni di conservazione e modernizzazione rapida, fra islam ortodosso e secolarizzazione progressista (vietato il vino, allora ecco gli alcolici) fra gli eccessi dell’impero e un nuovo ordine socialista, il mondo in cui visse ignara iniziava a considerare la libertà più importante del velo e l’istruzione più del fanatismo, sotto l’influenza dell’impero.
Sento onde di Colette e di Irene Nemirosky, dei russi bianchi a Parigi, la Berberova e mi immergo con Banine in un tempo lontano, in parte sconosciuto, ma ricco di interessanti aperture.
In attesa di poter leggere il seguito…
Ironia, franchezza, fascino caratterizzano questa storia autobiografica ambientata nella comunità azera dell\’Azerbaijan. Plurisecolari usanze intrecciate alle suggestioni occidentali che un\’istitutrice tedesca fa trapelare pur nel rispetto dell\’ambiente. La protagonista parla a fatica l\’azero, conosce meglio la lingua russa il francese e il tedesco. Sia pur pur di nascosto riesce a leggere molta letteratura francese ma partecipa a tutti gli effetti ai riti e alle quotidianità della numerosissima famiglia incredibilmente litigiosa. Questioni di eredità ma anche avversioni personali ne fanno un coarcervo di insulti e aggressioni. Tutto cambia con la rivoluzione d\’Ottobre: il padre in prigione, perdita dei possedimenti e della ricchezza, obbligo di lasciare la casa a disposizione di funzionari russi. Di uno di questi la ragazzina si innamora perdutamente, ma non oserà ascoltare le sue inclinazioni per obblighi familiari. Altrettanto la sorella più ardita di lei dovrà recedere e fare penitenza dopo aver provocato scandalo per le sue scelte avventurose. Interessantissimi i racconti dell\’infanzia: le marachelle e le crudeltà sue e dei suoi ammirati complici, i cugini Assad e Ali. Questi ultimi capaci di insidiare e tormentare una ragazzina con l\’unica colpa di essere figlia di madre armena. Trapela qui l\’odio verso gli armeni, a loro volta colpevoli di angherie verso gli azeri. Altro personaggio singolare, la spudorata Gulnar a cui la ns protagonista è molto affezionata. Crederà poi di essere stata tradita da costei ma di nuovo le situazioni si rovesceranno con interpretazioni dei fatti che sorprendono. Il dramma della scoperta dell\’amore e dell\’attrazione sessuale coinvolge i vari personaggi in intrighi e in sofferenze lancinanti. Ma, come è prevedibile in società arcaiche, a detta dell\’autrice, il genere maschile se la cava meglio. In ogni caso non mancano le mille astuzie con cui alla fine le donne si sottraggono all\’imperio maschile ricreandosi mondi segreti e consolatori. Un libro insomma che fa rimpiangere quando si chiude l\’ultima pagina.
Una biografia avvincente che mi ha permesso di scoprire una donna fuori dal comune e anche la realtà azera della prima metà del Novecento. La scrittura è fresca e piacevole e il mix tra scorci di vita familiare ed eventi storici è davvero riuscito.
Avvincente racconto di una realtà poco conosciuta. Ho apprezzato una biografia per nulla autocelebrativa, in cui sono affrontati e descritti con serenità anche i momenti più difficili
Banine ci accompagna in un mondo che conosciamo poco e in un tempo di grandi sconvolgimenti. I miei giorni nel Caucaso è un racconto autobiografico centrato sull’infanzia e l’adolescenza di una ragazza che si trova a fare da cerniera tra due culture, quella islamica imbevuta di tradizioni orientali e quella occidentale via via più presente e attraente. L’autrice nasce nel 1905 a Baku in una prolifica famiglia che ha avuto la fortuna di vedere i propri campi trasformati in giacimenti di petrolio. Attraverso gli occhi della bambina conosciamo l’opulenza delle abitazioni, in particolare quella di campagna e uno condizione di privilegio pensata come eterna. Mentre gli anni passano e lei quasi senza avvedersene acquisisce abilità e cultura internazionale, avviene il grande sconvolgimento. La rivoluzione russa porta alla dittatura militare dominata dagli Armeni che darà la caccia ai ricchi azeri costringendo la famiglia di Banine a mollare i beni prima e a darsi alla fuga poi.Il pregio del libro tuttavia sta in un umorismo persistente e nel ritmo incalzante degli eventi. Una carrellata sovrabbondante di personaggi esce dalle pagine e di essere a carnevale. Oltre alla litigiosità , tratto comune, ciascuna figura ha caratteristiche proprie più o meno vicine al grottesco. Senza scandalizzarsi troppo di niente, neanche del padre che la vende per un passaporto a un corteggiatore detestato, l’autrice dispensa uno sguardo rassegnato e già distaccato a tutti, in primo luogo a se stessa e al suo esordire nel pianeta dell’amore.
Banine ci accompagna in un mondo che conosciamo poco e in un tempo di grandi sconvolgimenti. I miei giorni nel Caucaso è un racconto autobiografico centrato sull’infanzia e l’adolescenza di una ragazza che si trova a fare da cerniera tra due culture, quella islamica imbevuta di tradizioni orientali e quella occidentale via via più presente e attraente.
L’autrice nasce nel 1905 a Baku in una prolifica famiglia che ha avuto la fortuna di vedere i propri campi trasformati in giacimenti di petrolio. Attraverso gli occhi della bambina conosciamo l’opulenza delle abitazioni, in particolare quella di campagna e uno condizione di privilegio pensata come eterna. Mentre gli anni passano e lei quasi senza avvedersene acquisisce abilità e cultura internazionale, avviene il grande sconvolgimento.
La rivoluzione russa porta alla dittatura militare dominata dagli Armeni che darà la caccia ai ricchi azeri costringendo la famiglia di Banine a mollare i beni prima e a darsi alla fuga poi.
Il pregio del libro tuttavia sta in un umorismo persistente e nel ritmo incalzante degli eventi.
Una carrellata sovrabbondante di personaggi esce dalle pagine e di essere a carnevale.
Oltre alla litigiosità , tratto comune, ciascuna figura ha caratteristiche proprie più o meno vicine al grottesco. Senza scandalizzarsi troppo di niente, neanche del padre che la vende per un passaporto a un corteggiatore detestato, l’autrice dispensa uno sguardo rassegnato e già distaccato a tutti, in primo luogo a se stessa e al suo esordire nel pianeta dell’amore.
Che magnifica scoperta questa autrice azera… una scrittura, la sua, brillante, ironica, intelligente anche nel fingere ingenuità nel mostrarci un mondo sconosciuto, ormai scomparso ma di grande interesse. Ricostruisce la sua storia straordinaria con sapienza e candore, riempiendola di notizie e fatti messi, quasi per caso, come piccole perle ad illuminare la sua vicenda, sa coniugare momenti tragici, trattati con poche e asciutte frasi fulminanti e momenti comici trattati con un’ironia e una perspicacia davvero notevoli; sa descrivere il suo mondo quasi tribale ma anche cosmopolita di bambina-ragazza privilegiata con un occhio partecipe e tuttavia distaccato. Crea un personaggio reale e vivo, dipinge un affresco corale e lo rende colorato e dinamico, suscitando un’empatia tale da coinvolgere in pieno il lettore. È così brava che stupisce sia stata così a lungo dimenticata.
Le vicende storiche dell’Azerbaigian del primo ‘900 e le vicende personali si intrecciano in questo memoir avvincente, spesso ironico. Con una scrittura elegante Banine descrive i personaggi come fossero paesaggi e i paesaggi come fossero personaggi. Come lettrice ho vissuto il finale come una lettura interrotta che ti lascia il desiderio di conoscere le vicende vissute dall’ autrice successivamente.
Ho amato molto questo romanzo autobiografico, capace di travolgere il lettore e trascinarlo in un mondo così lontano dal nostro. Ho adorato l’ironia con cui Banine descrive la propria infanzia in quella famiglia oltremodo pittoresca (la nonna su tutti!). Ironia che le risulta utile anche per prendere le distanze da quell’universo e da quegli anni, sì belli e divertenti, ma altresì ricchi di ombre e periodi davvero duri e complicati. Mentre seguiamo le vicende familiari di Banine, sullo sfondo scorre la storia di un mondo che assiste al cambiamento dei propri costumi, all’ascesa e alla caduta di una classe sociale (quella dei ricchi petrolieri cui appartiene la famiglia della protagonista) e alla fine di una Repubblica. Una bellissima lettura da consigliare a tutti.
“I miei giorni nel Caucaso” racconta la gloria e la caduta del regno dei baroni del petrolio caucasico che dominavano l’Azerbaigian agli inizi del XX° secolo. L’autrice, nata nel 1905 a Baku in uno dei più facoltosi clan di petrolieri di quella regione, pubblica a Parigi nel 1946 quest’autobiografia ritornando con la memoria agli anni trascorsi nella sua terra natale, definitivamente abbandonata nel 1923 a seguito dell’occupazione bolscevica. Questo salto indietro nel tempo le consente di sollevare il velo sullo spirito triviale, sboccato e licenzioso che colorava l’opulenza della sua famiglia ma, contestualmente, fa ombra su quale consapevolezza lei stessa abbia maturato in età adulta da quell’esperienze. In effetti la decisione di Banine d’affidare la narrazione ai soli ricordi d’infanzia determina un instabile equilibrio tra l’ironia di mestiere della scrittrice e il puerile sarcasmo di quand’era bambina, ambiguità su cui in effetti viene modellato il carattere dell’intera opera.
La crudeltà che macchia alcune pagine sulla quotidianità familiare è tale che aveva costituito oggetto di censura nella prima edizione in lingua azera per i contenuti ritenuti “incompatibili con i valori azerbaigiani” e bisogna ammettere che se la matrice etnica delle violenze descritte fosse riconducibile a vicende nostrane, anziché ai conflitti tra armeni e azeri, probabilmente anche Neri Pozza avrebbe riflettuto sull’opportunità della loro pubblicazione.
Se da un lato i legami famigliari rappresentano quindi un facinoroso universo di contraddizioni e conflitti che coinvolge rapporti tra generazioni, tra sessi e tra culture, dall’altro l’epocale occupazione bolscevica viene descritta con romantico candore adolescenziale così come l’iniziale simpatia di Banine per i principi marxisti-leninisti, ispirata più dal fascino conturbante dei giovani soldati sovietici che dall’adesione ad una fede politica.
Al di là di tutto quest’opera racchiude in sé due indiscutibili pregi. Il primo è quello di costituire una fonte primaria, sotto il profilo storiografico, della vita e dei costumi che animarono l’opulenta città di Baku, prima capitale mondiale del petrolio, dagli inizi del XX° secolo e fino all’occupazione bolscevica; il secondo è di presentare ai lettori italiani la storia avvincente di un’autrice sino ad oggi ignorata dal nostro paese, stimolando quindi la curiosità di approfondire la sua conoscenza. Personalmente sono rimasto colpito dal fatto che Banine negli anni successivi alla pubblicazione di quest’autobiografia si convertirà al cattolicesimo romano dedicando a ciò un libro dal titolo più politico che religioso “J’ai choisi l’opium” che apre uno spiraglio sui quali conflitti interiori deve poi aver vissuto quella piccola bambina mussulmana testimone della caduta del suo rozzo ma adorato paradiso perduto.
Bello questo romanzo autobiografico ambientato all\’inizio del \’900; tanto coraggio in questa donna considerato il periodo storico e il luogo. Felice di averlo letto e curiosa di leggere altro di questa autrice. Una bella coccola. Lo consiglierò.
Molto è già stato detto dai miei compagni di lettura e l’apprezzamento per il libro è generale.
Condivido i giudizi e vorrei solo aggiungere che, come spesso nella letteratura mediorientale, le donne, pur vivendo di fatto in una mancanza o grande limitazione della propria libertà sociale (il velo, il matrimonio imposto, la cultura quasi rubata, di nascosto), dimostrano carattere, personalità, velleità, ben superiori ai personaggi maschili del libro. C’è in questo un giudizio dell’autrice? Il solo Andrej sembra staccarsi dal gruppo ma, a ben vedere, è forse solo un eroe romantico,senza dimensione, come poteva sognarlo una ragazzina che di simili eroi letterari si era riempita la testa. Andrej non fa nulla per spostare la relazione ad un livello superiore, si lascia amare e in seguito Gulnar, con la sua abituale franchezza ne sminuirà le doti di amante. Le donne invece sono un gruppo straordinario, si incontrano, parlano e sparlano, gridano e imprecano, usando, perlopiù, i mariti come mezzo di emancipazione da una vita prigioniera. Il tutto con un linguaggio sempre sul filo di una ironia tagliente che stempera anche la nostalgia che si fa viva alla fine del racconto.
Una lettura davvero ricca e sorprendente, con il merito di averci fatto scoprire al contempo un\’autrice e un mondo quasi del tutto sconosciuti. La limpida voce narrante della protagonista ci apre le porte di una famiglia decisamente ingombrante, rozza, chiassosa, unita più che altro dalla passione per il litigio e da quella per il poker; l\’educazione di questa bambina dalla mente vivace e dalla lingua tagliente appare quanto mai bizzarra e contraddittoria, divisa com\’è tra le forti tradizioni della cultura islamica locale e le influenze straniere della vice-mamma Fraulein Anna, delle varie insegnanti e soprattutto dell\’incombente presenza russa, piena di fascino come di pericolo.. Ma, al di là di così variegati ingredienti, nel mondo di Banine un posto del tutto speciale occupa la natura, cui la lega un rapporto \”filiale\”, intimo e animista, molto più profondo di quello con i familiari umani: non a caso, il passaggio più struggente del libro riguarda il momento dell\’addio al mondo incantato della campagna, poco prima della partenza per l\’Europa, un addio che rappresenta anche un doloroso e definitivo abbandono dell\’infanzia. Per il resto, la storia di Banine è anche, nonostante la sua posizione da molti punti di vista privilegiata, un\’ennesima storia di sopraffazione su una ragazzina che si sente – ed è considerata – nient\’altro che un oggetto e una merce di scambio, senza diritti, senza voce né ascolto.
Accattivante fin dall’inizio insolito, il romanzo si dipana attraverso
tempi e luoghi periferici rispetto al nostro mondo, e perciò fitti di
sorprese, al di là di fatti ravvisabili anche in aree culturali ed
epoche vicine alle nostre. Mi riferisco alla parabola della
improvvisa, inaspettata ricchezza del bisnonno, da contadino diventato
milionario grazie al petrolio casualmente zampillato dai suoi campi
fatti di pietraie e pecore sparute. Ugualmente può trovare
parallelismi altrove la vicenda più recente della famiglia della
protagonista, trovatasi sul fronte opposto: da una sfacciata ricchezza
alla sottrazione di ogni cosa per colpa della storia. Ciò che più
appassiona nel libro sono le vicende delle figure femminili: la nonna
autoritaria e bestemmiatrice, la protagonista stessa coi suoi amori
fantasticati o clandestini, le sorelle emancipate e disinibite. E
tutto questo in un’epoca (primo novecento) e in un contesto culturale
e religioso (l’islamismo con i suoi decantati rigori, la sottomissione
delle donne, la restrizione delle libertà e la fobia dei rapporti tra
i sessi) insospettabile. Forse gioca a loro beneficio l’appartenenza a
una classe economicamente molto agiata che può permettersi tate
europee e quindi respirare ventate da altri mondi.
Aleggiano su tutto le strane (e mai nascoste) dinamiche della famiglia,
percorsa da liti interminabili, ricatti dovuti all’eredità, rapporti
intensi tra cugini, sentite alleanze tra mogli dello stesso uomo…
Narrazione piacevole, in virtù anche dell’ironia che la pervade, anche
se non mancano momenti di smarrimento nelle fasi della perdita dei
beni di famiglia e della fuga da Baku.
Questo libro è una lettura scorrevole densa di momenti significativi rilevanti.
Apre le porte ad un ben descritto e circoscritto quadretto storico. Drammatico. Il vissuto della propria infanzia si inserisce in un momento spazio temporale ben delineato. Per chi ama le autobiografie come genere letterario, probabilmente, amerà anche questo libro
Ho trovato in questa autobiografia un modo di scrivere delizioso, con una grande densità poetica che traspare dalle pagine. L’autrice racconta della propria infanzia in un luogo e un tempo che in genere sono sconosciuti, aprendo le porte alla scoperta di un modo di vivere e pensare molto lontano dal nostro. Lo consiglio senza dubbio, sperando di leggere presto altro di questa interessantissima autrice.
Che bella sorpresa!
Una scrittrice che non conoscevo, nata e vissuta in paesi a me purtroppo sconosciuti ma che ora mi sembra di conoscere un po’ di più. Banine ci racconta molte vicende familiari, curiose, vivaci e spiritose, interpretate da personaggi altrettanto interessanti e unici.
Le sue riflessioni sulla famiglia mi hanno fatto riflettere; invito a leggere i paragrafi a pagina 24 che descrivono i “legami di sangue “, come le righe di pagina 225.
Così come la sua scrittura, semplice ma per nulla banale, capace di dare il giusto rilievo ad alcune descrizioni che ho trovato magnifiche.
Invito a leggere il suo pensiero sui cimiteri di pagina 297: STUPENDO!!!
Insomma, questo libro mi ha entusiasmata e, in questo momento difficile (emergenza Covid-19), anche aiutata.
Francesca Verona
Umm-El-Banine Assadoulaeff, in questo divertente libro ci parla, tramite la sua voce, della prima parte della sua vita, che si svolge nell’attuale Azerbaijan, nei primi decenni del 1900.
L’autrice descrive, sotto lo pseudonimo Banine, la realtà dell’epoca, quasi come dipingesse un quadro culturale, vissuta nel Caucaso pre-sovietico, territorio incastonato tra l’occidente cristiano e l’oriente mussulmano, raccontando di un periodo storico poco conosciuto, della scoperta del petrolio in quel sito e della rivoluzione russa.
Banine, racconta, con una scrittura piacevole e leggiadra, la sua ricca e strana famiglia. Ci narra dell’educazione ricevuta in contrapposizione tra una nonna azera ed una tata tedesca, descrivendo dettagli di usi, costumi e tradizioni del suo popolo, degli eventi politici e degli svariati passaggi governativi, che spaziano dalla dominazione armena a quella inglese, da quella turca a quella sovietica. Parla, attraverso il cammino verso la sua emancipazione femminile, di questa famiglia allargata, ricordando, con velata malinconia, le vacanze in montagna o, con spirito innovativo, la rivoluzione bolscevica, o, senza vergogna, la scoperta del sesso, o, con estrema lucidità, il suo matrimonio combinato.
In questa autobiografia, attraverso le curiose vicissitudini familiari e descrivendone i membri con curiosità e ilarità, ci fa conoscere il disprezzo, l’affetto, l’attrazione, l’indifferenza, l’amore che prova per essi. Evidenziando il passaggio tra il passato tradizionale del vecchio mondo ed il progresso automatizzato del nuovo mondo, Banine fa scorrere, nero su bianco, i suoi giorni vissuti, a partire dalla sua appartenenza alla ricca borghesia, passando attraverso la partecipazione attiva alla lotta comunista post-rivoluzione, per approdare, infine, alla sua tanto sognata libertà parigina.
Scritto con una vena ironica, si può effettivamente dire che è un libro velatamente nostalgico condito da grande umorismo, che affascina proprio come un racconto d’avventura, facendo luce, con leggerezza, sulle condizioni del popolo azero, prima e dopo la Rivoluzione d’Ottobre, sottolineandone i vari aspetti sociali e politici e ponendo l’accento sulle varie tradizioni e differenze culturali e religiose vissute dall’autrice.
Una fotografia su mondo non più esistente, che la protagonista ha cercato da sempre di fuggire, affamata di libertà e progresso, a tal punto da essersi sentita, nell’ultima parte della sua vita, più francese che azera.
“Venivo alla mia nuova vita, disponibile e aperta a tutto; e del passato mi portavo dietro solo la parte più bella, quella che avevo vissuto sulle nuvole:”
Emozionante Banine!