Nuovi autori giapponesi

di Gianluca Coci, traduttore del romanzo La fabbrica (giugno 2021)

Care lettrici e cari lettori,

ormai si esce poco la sera, ma c’è una grossa novità… La narrativa giapponese, che nonostante tutto gode di ottima salute e si conferma come uno dei centri più interessanti e innovativi del panorama letterario mondiale, ci propone una nuova autrice che sta facendo e continuerà a far parlare molto di sé: Hiroko Oyamada.

Classe 1983, nata a Hiroshima, Oyamada si è laureata in letteratura giapponese del periodo premoderno e ha scritto finora due romanzi e una raccolta di racconti contraddistinti da notevole originalità e uno stile davvero peculiare, che la pongono con sorprendente rapidità e a pieno titolo al vertice di una nuova generazione di scrittrici che coniugano sapientemente realtà e fantasia, problematiche sociali e ricerca di forme di espressione artistica all’avanguardia, accanto alle quasi coetanee Mieko Kawakami e Sayaka Murata, tanto per citare due nomi già noti anche in Italia.

Neri Pozza, casa editrice da molti anni attenta alla letteratura che viene dal Sol Levante, pubblicherà quest’estate il suo romanzo d’esordio: La fabbrica, una satira molto sui generis del mondo del lavoro nipponico, ma al contempo un romanzo onirico e proletario dai toni fiabeschi e darkeggianti, in cui si intrecciano echi carrolliani e kafkiani. Le storie di tre giovani alla disperata ricerca di un impiego e figli del cosiddetto “ventennio perduto” si intersecano in una serie di vicende ai limiti dell’assurdo, entro i confini di una fabbrica/città accentratrice e spersonalizzante “mastodontica come Disneyland”.

Già, il “ventennio perduto”, ovvero quel periodo di recessione e stagnazione economica che corrisponde grossomodo ai due decenni a cavallo del nuovo millennio e che è seguito allo scoppio della grande bolla speculativa giapponese degli anni Ottanta, segnando tra l’altro il tramonto del sogno del posto fisso e la nascita di una generazione di freeter, lavoratori precari che si adattano alla nuova situazione socio-economica dedicandosi a impieghi perlopiù a breve termine e aspirando a una certa autonomia e libertà personale.

Freeter o giù di lì sono i tre protagonisti de La fabbrica, assunti da questa mostruosa e grigia entità dopo colloqui a dir poco grotteschi: una neolaureata in Linguistica che finisce nella bislacca “Squadra distruttori” di un non meglio definito “Reparto servizi di stampa”, in qualità di addetta a misteriose macchine distruggidocumenti; un ricercatore impossibilitato a proseguire la carriera universitaria e costretto a raccogliere campioni di muschio per un progetto di inverdimento delle centinaia di tetti della fabbrica/città; un tecnico informatico licenziato in tronco a seguito di una ristrutturazione aziendale, che dovrà riciclarsi come correttore di bozze di strani documenti a uso interno. In un limbo sospeso tra incubo e realtà, relazionandosi con una serie di personaggi stravaganti che sembrano indossare di volta in volta abiti da Cappellaio Matto e completi da perfetti impiegati o tute da operai, i tre giovani si muovono in una sorta di ecosistema a sé stante popolato da curiosi animali (enormi nutrie dal dorso grigio, “lucertole delle lavatrici”, “cormorani della fabbrica” dal piumaggio nero e lucido come petrolio) e in cui non manca nulla (perché la fabbrica produce tutto ciò di cui si ha bisogno per sopravvivere), dominato dal grigio e dal verde. Al grigio cupo e rigoroso degli edifici della fabbrica, delle tute e dei grembiuli degli operai e di macchine e automezzi su cui campeggia il logo aziendale, fa da contraltare una patina verdeggiante che talvolta ricopre le pareti e i tetti delle costruzioni, come una speranza green che aleggia tra le pieghe di un mondo in disfacimento e tutto da ricreare.

Il mondo di Hiroko Oyamada, che con questo romanzo si è aggiudicata il premio Oda Sakunosuke e con il successivo Ana (“Il buco”) – romanzo in cui agli echi carrolliani si aggiungono visioni tra David Lynch e Miyazaki Hayao – il premio Akutagawa, è sorretto da una qualità e uno spessore letterario notevoli, da una scrittura densa, precisa e allo stesso tempo fluida e avvincente, ricca di salti temporali e dialoghi e pensieri incastonati nel corpo del testo.

È un mondo che rappresenta una scoperta continua, frutto di un processo creativo che spesso, come sottolinea la stessa autrice in un’intervista, non si basa “su schemi prefissati e un progetto ben definito, bensì su blocchi di scrittura indipendenti e riposizionati a posteriori come in una sorta di magico gioco a incastri”.

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1 thought on “Nuovi autori giapponesi

  1. le Scrablands , terre arse,desolate, dimenticate da <<<<dio, non solo fanno da sfondo a questo trhiller, ma ne sono parte integrante, quasi protagoniste, partecipi dei segreti oscuridella gente che ci abita. Nel prologooccupano il primo posto!
    Lo stile è asciutto, la lettura scorrevole anche se ricca di descrizioni e particolariquasi come un occhio indiscreto che mette a fuoco l'ambiente, sembra quasi la sceneggiatura di un film.
    gli ingredienti ci sono tutti, non manca neppure una critica aspra ai mass-media che spesso travisano la realtà, mistificano e modificano la verità a loro uso e consumo.
    Non manca neppure un lieto fine.Dunque una lettura a 360 gradi, che coinvolge fin dal primo momento.

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